L’appiattimento delle parole porta, inevitabilmente, all’appiattimento dei significati. Per la
Calabria (e per tutto il Sud) è una questione antica, almeno quanto…l’Unità d’Italia. E ancora oggi, purtroppo, questa “strategia di comunicazione" non smette di fare proseliti, ovvero di alimentare (a volte inconsapevolmente, altre no) quel meschino fenomeno del silenzio-assenso.
Anche
tra le persone più istruite.
Un
esempio? I resistenti del Nord si chiamano “partigiani”, mentre quelli del Sud
si bollano come “briganti”. Eppure, entrambi – sebbene in epoche distinte e
distanti – combattevano per difendere la propria terra e la propria gente dall’invasore e
dall’usurpatore…
Non
è in questa occasione che si pretende di analizzare le ragioni storiche della
cosiddetta “questione meridionale”. Qui, invece, si vuole porre l’attenzione sul
fatto che ogni “questione meridionale” parte da una sottovalutazione culturale, oltre che dall' uso strumentale e distorto
di alcune parole-chiave. Come, per esempio: “brigante”.
Il
“brigante”, come testimoniato dalla storia e dalle mille e varie testimonianze artistiche e culturali, è alla base dell’identità “moderna” (ovvero, dalla
rivoluzione francese in poi) del Sud.
Un atteggiamento “popolare”, che negli
anni è sconfinato nel folklore, quindi nella tacita accettazione di molti, ma non di tutti, ha avallato e tacitamente condiviso l’equivalenza: “brigante uguale mafioso”. E viceversa.
No,
il brigante (con tutti i suoi limiti di proto-rivoluzionario/resistente) non ha nulla a
che spartire con il mafioso. E questo, per alcune ragioni evidenti, anche se
spesso non adeguatamente considerate (proprio per l’appiattimento delle parole
di cui sopra…) o, comunque, mai sufficientemente comunicate.
E' quanto mai opportuno ed importante, quindi, ribadire la differenza tra “culto” e “cultura”. Non esiste, infatti, “cultura” mafiosa, ma solo il “culto”. Certamente, non inteso in accezione religiosa (come a qualcuno farebbe piacere…), bensì come…coltivazione, come
cieca esaltazione. Si
capisce, quindi, che la “cultura” è decisamente tutt’altro. Essa ha a che fare
con la conoscenza, la libertà di pensiero e di espressione. In una parola, la cultura è emancipazione.
Ricordando che i "briganti" furono i primi a chiedere, a fine Settecento, nel Regno di Napoli, istruzione obbligatoria e gratuita per il popolo, appare quindi chiaro come il “brigante” faccia parte della cultura meridionale, mentre il
“mafioso” fa solo parte del culto di una sciagurata minoranza.
Ma, proprio grazie all'appiattimento delle parole e dei significati, nonché al - consapevole o meno - atteggiamento di silenzio-assenso, la mafia strumentalizza i "valori" popolari.
Quali
sono questi valori? Eccone alcuni esempi:
- l’onore (in questo caso, per il mafioso, non legato al comportamento sessuale delle sue donne, bensì legato al rispetto da parte del suo territorio);
- la vendetta;
- l’amicizia;
- il comparaggio;
- la fedeltà;
- la solidarietà.
L’origine
popolare vantata sia dai briganti che dai mafiosi, comunque, non può cancellare le
profonde differenze tra i due fenomeni sociali. A cominciare dai padri politici
dell’uno e dell’altro.
Padre
del brigantaggio e dei briganti è il desiderio di libertà, il bisogno di pane;
madre del brigante è la sete di giustizia.
Padre
della mafia e dei mafiosi è il ceto proprietario che
rifiuta la rivoluzione francese e l’uguaglianza dei cittadini; madre è la
volontà di perpetuare un dominio minacciato dalla democrazia.
Nemico
dei briganti è il ricco; il consenso popolare ne accompagna le azioni e crea
l’acqua nella quale il brigante sociale nuota sicuro e si muove liberamente.
Nemico
del mafioso è il contadino povero che diventa sindacalista e occupante di
terre, che vuole il salario sindacale, che non ha più rispetto per i potenti.
Il
silenzio e l’omertà che consentono anche al mafioso di muoversi come un pesce
nell’acqua sono figlie della paura, del terrore che nasce dalla ferocia con la
quale la mafia fa da braccio armato ai potenti.
Ma non basta. Anche nelle modalità di uccidere emergono differenze abissali tra brigante e mafioso.
Il
brigante sfida il nemico, lo affronta in duello, considera infamante sparargli
alle spalle, vuole vincere perché più coraggioso e più forte, con onore,
rivendica l’omicidio.
Il
mafioso vuole il risultato. L’inganno, la frode, la trappola, l’agguato,
l’assassinio su commissione, il silenzio sugli omicidi attribuiti e non
rivendicati marcano la differenza.
La
“promozione sociale” del fenomeno mafioso, fa leva sul fatto che in ognuno
dei due gruppi (briganti e mafiosi, mafia e brigantaggio) vi sono figure di
confine. Tra i briganti vi sono dei violenti sanguinari disposti a fare
anche i sicari, quindi riconducibili alla tipologia del mafioso. Tra i mafiosi
vi sono taluni che rifiutano di fare i kapò contro i contadini o di uccidere a tradimento,
quindi evocando la figura del brigante giustiziere.
E’ proprio
in questa “zona grigia” – anche lessicale - che si nutrono e si
sviluppano quei falsi “miti” popolari, fino ad essere elevati a vere e proprie figure folkloristiche, quindi identitarie. Facendo leva esclusivamente sull’ignoranza
(etimologicamente intesa: non conoscenza) della gente. Così come, in questa “zona
grigia”, si sviluppa anche una sorta di “accettazione sociale”, che tracima in una sorta in una condivisione silente, del fenomeno mafioso. Avallato, appunto, da un …distratto
silenzio-assenso.
Può
sembrare apparentemente esagerato, ma vere e proprie “bombe sociali”, in questo
senso, sono esposte su ogni bancarella, in ogni negozio e in ogni autogrill che
vende “souvenir”. Sono i gadget mafiosi: magliette, ceramiche, magneti da
frigo, portachiavi, ecc.
(Alcuni comuni, come per esempio Erice, in provincia di Trapani, ne hanno vietato la vendita proprio perché tali "gadget", oltre a rappresentare una distorta e falsa immagine culturale del territorio e della sua comunità, rappresentano plasticamente la negazione di tutti gli sforzi che la popolazione onesta - la maggioranza - compie per affrancarsi dal giogo mafioso).
Ma, tornando al filo del nostro ragionamento, le eccezioni, nell’uno e
nell’altro caso, non modificano l’essere diverso di mafia e brigantaggio.
E le differenze più
evidenti sono:
Caratteri
salienti e doti del brigante:
- coraggio;
- capacità di ribellione;
- doti di combattente;
- lealtà nel combattimento e nell’uccidere: mai tradire, mai uccidere alle spalle, mai nascondere la responsabilità dell’omicidio;
- la generosità, la magnanimità;
- la cavalleria: rispetto per donne, bambini, anziani, uomini di chiesa degni;
- la sfida aperta alle forze dell’ordine: nemiche dichiarate perché nemico dichiarato è lo Stato e il governo al cui servizio esse sono.
Caratteri
salienti dei mafiosi:
- omertà;
- braccio armato del ceto proprietario;
- contro le riforme e la democrazia;
- eliminazione dei testimoni;
- tutela giudiziaria e sociale dei padroni;
- spazi garantiti nell’economia:
- campieri;
- guardianie;
- paghe a parte per gli omicidi
- ruolo politico (come organizzazione);
- contro i contadini.
Se un mafioso diventa eversivo è per scelta personale, non di
cosca.
Se muta alleanze politiche è perché il gruppo sociale di
riferimento ha cambiato collocazione.
Sintetizzando schematicamente alcune delle differenze tra brigantaggio e
mafia, si avrà quindi il seguente risultato:
Briganti
|
Mafiosi
|
|
Coraggio
|
Ferocia
|
|
Lealtà
|
Inganno
|
|
Contro chi governa
e comanda
|
Braccio armato e
illegale di chi comanda e governa
|
|
Ribelli sociali;
rivoluzionari potenziali
|
Al servizio della reazione dei "padroni"; sicari e killer del potere costituito. Alleati del vincitore.
|
|
Il brigante chiede
l’istruzione obbligatoria e gratuita per il popolo, primo a chiedere e
rivendicare questo diritto nel Regno di Napoli – Settecento
|
Il mafioso accetta
l’ignoranza; è un servo di chi comanda non un ribelle.
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Le differenze
esistono anche nelle forme di lotta:
|
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I briganti danno
battaglia apertamente per scelta e/o se costretti dalle circostanze
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I mafiosi mai.
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Differenze nella
comunicazione
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I briganti:
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I mafiosi:
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Parlano, cantano,
rivendicano
|
Il silenzio,
l’omertà
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